sabato 14 aprile 2012

Padrona per una notte by AnimadellaLUpa





E’ venerdì sera. Uscendo dal mio studio sto gia’ pensando che sono pronta a tutto, tranne che rincasare.
Stasera non mi va, stasera non torno.
Le mie figlie sono fuori e lui certamente sta già aspettando gli amici, per la solita notte di poker.

Faccio tutto con comodo; mangio qualcosa alla trattoria che hanno aperto da poco, a pochi isolati dal mio ufficio.
Il parcheggio è pieno, il locale stipato; tuttavia, io sono sola e quindi mi rifilano un posticino piccolo piccolo, nascosto dal classico frigo delle torte gelato.
Tutto è regolare, fin troppo, sino a quando la suoneria di un telefonino mi raggiunge.
Riconosco quella melodia, l’ho già sentita. Da chi, però?
Sbircio tra i tavoli e vedo mio cognato. E’ sua, quella suoneria.
Faccio per alzarmi, … mi accorgo appena in tempo che l’adorato cognatino non sta godendosi la compagnia di mia sorella.
La cosa non mi stupisce più di tanto. Nonostante sia mia sorella, sangue del mio sangue, l’ho sempre ritenuta una donna troppo mite; troppo docile, per come lui si propone. Aspetto quindi l’attimo nel quale lui si gira, per alzarmi, pagare il conto ed andarmene.
Vedere quella scena, però, non mi è assolutamente piaciuto, e, “Se mia sorella è una placida donna, io non lo sono affatto”, penso.

Ripercorrendo la via di casa, decido di chiamarlo. Con la sua voce al telefono, azzardo un “Disturbo?” e un “Dove sei?”
Lui dice “Non disturbi affatto, mia cara, sono ad una cena di lavoro”.
“Dev’essersi alzato in piedi”, penso, a giudicare dal silenzio assoluto attorno a lui.

Da bravo puttaniere, aggiunge “Sapessi che palle, ma sai com’è…”
“Certo, certo!”, gli do corda. “Non voglio trattenerti, volevo solo chiederti se domani mattina
vieni con me “alla soffitta”. Mi hanno chiesto di allestire il locale per la serata fetish e mi rompo , ad andarci da sola. Così mi son chiesta se…”
Neppure il tempo di finire il discorso, che già mi chiede quando vederci. Decidiamo per le 11, davanti al locale. Lo avviso che faremo tardi, probabilmente e che, alla soffitta, non c’è campo, e che il cellulare non prende.
“Non preoccuparti”, dice lui, “avviso Carla”.
Il locale, in realtà, deve essere pronto per la sera di lunedì, e solo io ho le chiavi del portone, e saranno ormai tre giorni che ci sto lavorando dentro.

Arrivo prima di lui, e lo avviso con un sms, dicendogli che non lo aspetto fuori.
Mi spoglio dei miei abiti e inizio a curare ogni mio dettaglio; indosso calze in latex nere, agganciate al reggicalze di un accattivante bustino nero intrecciato sul seno.
Le scarpe, altissime, sono rigorosamente lucide e nere
Ogni cosa ha questo colore; tutto, tranne il mio umore.
Slego i miei lunghi capelli, e mi trucco alla luce della lampada in bagno; fisso i miei occhi, riflessi dallo specchio.
Puntualissimo, lui suona. Mi affretto quindi ad abbassare le luci. La porta si apre, grazie al tiro posto sotto al bancone. Spunta in cima alla scalinata.
“Lucrezia!”
Rispondo “Scendi, sono giù. Aspettami sul palco!”
Grido, e i miei occhi lo osservano. So che ama il fetish. Lo lascio quindi salire sul palco, ad armeggiare con gli attrezzi… immagino che si stia eccitando.
Aspetto un altro po’, ma risalgo la scalinata e chiedo se può farmi da cavia.
“Cosa devo fare, dimmi?”
Mi siedo in un punto buio, e chiedo di indossare le polsiere della croce di Sant’Andrea.
Lui sorride, sembra quasi imbarazzato. Ma io so che lo vuole. Insisto; e, di certo, non fatico.
Il primo polso è agganciato. “Prova a mettere anche l’altro. Ci riesci?”
Lui risponde “E’ faticoso, ma non impossibile”. Di certo, l’eccitazione di quei momenti, lo porta a impegnarsi per agganciare anche la seconda polsiera.
“E… ed ora, spalanca le gambe, e dimmi se sei comodo. Descrivimi cosa provi”
Lui blatera qualcosa. Gli chiedo se è solito fare questo tipo di cose, o se fanno parte solo dei suoi sogni irrealizzati.
“Ma che dici?”, mi risponde ridendo.
“Perché? Vuoi forse dirmi che mia sorella non ti permette queste cose?”
“No, non è quello, ma sai…”
Io allora inizio a scendere lenta la scala. Lentissima. Non mi vede ancora; io parlo e lui mi risponde.
Mentre scendo, azzardo un “…e così, tradisci mia sorella…”

In un tono perentorio, spara un “Certo che no”.
… mi fermo; predo dalla poltrona le mie fruste e continuo a scendere la scalinata.
Da come mi guarda, deve aver capito (o quantomeno, intuito) le mie intenzioni…
Accenno ad una mezza risata, dicendo che deve star tranquillo. Salgo finalmente sul palco
e mi trovo faccia a faccia con lui. Deglutisce a fatica, mentre, con il frustino, lo accarezzo tra le gambe. “Gradisci della musica?”.
Ma nemmeno aspetto la risposta; e già una musica blues accompagna il mio gioco.


Come una pantera, giro attorno alla croce, godendomi la sua espressione di curiosità e paura.
Mi fermo dietro a lui; le mie mani tirano i capelli verso me. “Mi fai male! Sei matta? Dai, smettila!”
“Oh no, non lo sono. La matta è mia sorella, ogni volta che ti crede!”
“Scusami , ma proprio non ti capisco. Se è uno scherzo, ti dico che sta diventando di cattivo gusto!”
“Ah, si??”
Torno davanti a lui, e prendo a slacciargli la camicia. Le unghie gli solcano il collo, fino ad arrivare al petto. So che non mi importerà nulla, di ciò che mi dirà. Delle preghiere che urlerà.
Con una mano afferro decisa i suoi coglioni, chiedendogli se li ha, e vuole essere così gentile da tirarli fuori.

“Slegami, liberami!”. Io lo rassicuro, “Tranquillo, lo faro”.
Il suo sesso ormai è duro, decido così di liberarlo. Passo la frusta sulla cappella e, ogni tanto, lo schiaffeggio. Passo la mia lingua, lenta, sul collo. Mordo i bordi delle sue labbra.
“Che ne dici, vuoi essere il mio cane?”
Gli faccio indossare il collare ed il guinzaglio. Scatto qualche foto.


“Mi spieghi, perché a me?”
“Semplice. Sono la parte peggiore di mia sorella. Sono ciò che lei non avrà mai il coraggio di essere. Ricordi quante volte mi ha detto che ero il suo opposto?”
E continuo. “Ed ora dimmi: ieri dov’eri?”
Lui dice “Ad una cena di ….”
La mia mano strinse nuovamente i coglioni.
“Dove, scusa?”
“Si, devi credermi”, arrendendosi ai miei desideri.


Inizio a slacciare la prima manetta dal suo polso. Cerca di scagliarsi contro di me.
“Stronza, sei una stronza!”
Scoppio a ridere e gli ricordo che la padrona sono io, e che non sarebbe facile spiegare certe foto a quella perbenista di mia sorella.
e dico “se devo essere sincera, nemmeno la serata di lavoro che hai trascorso, guarda caso, con quelle due puttanelle”
Il mio gioco prosegue
“…ed ora inginocchiati!”. Lui capisce che non scherzo. “Anzi, sai che ti dico? Spogliati, ed indossa quel paio di pants nere. Spicciati!”
Lui dice “Ma… ! Posso spiegarti…”
“Ti ho detto, spogliati”
Veloce si toglie ogni cosa, e lo ritrovo come il migliore dei cagnolini ai miei piedi.
“Ed ora vieni, andiamo a fare un giro per la sala”.
Salgo e scendo sulla gradinata per quasi 5 minuti, poi lo porto verso il bancone del bar. Riempio con dell’acqua il secchiello del ghiaccio e lo faccio bere come avrebbe desiderato il mio cane.

Seduta sullo sgabello, dondolavo la gamba. “Ehi cane! Ti piace la gamba della tua Padrona?”
“Certo, moltissimo!”. Lo colpisco con il piede, ricordandogli che era un cane e perciò non poteva parlare. “Avvicinati, ora”. Faccio così; due carezze sotto al suo mento, mentre lo accarezzo tra le gambe con la scarpa.
“Se ti piacciono le scarpe della tua Padrona, potresti dimostramelo …del resto, ti manca solo la parola, questo si sa”. Non se lo fa ripetere.Inizia a passare la sua lingua lungo il tacco a spillo.
“Bravo, bene continua … mi piace vederti così!! Ti prometto che, quando avrai finito, avrai una ricompensa”. La sua lingua consuma le mie scarpe, sino ad eccitarmi. Mi diverto, a passare sui miei capezzoli e sopra la sua schiena, il ghiaccio del frigo bar. Vedo i brividi scorrere sul suo corpo e questo mi fa impazzire. “Ora stai fermo. Da bravo, stai seduto su due zampe”.


Mi siedo così, comoda sul bancone, e appoggiando i piedi sugli sgabelli, prendo a fargli vedere cosa sapevo fare con quel frustino. Non mi toglie gli occhi di dosso, la sua bocca quasi sbava. Io inizio a far scivolare il manico del frustino sotto lo string di latex, divertendomi a far schioccare gli elastici del reggicalze, a fargli ricordare che ciò stava vivendo, non era un sogno.
“Ora riprendi da bravo, a leccare”
Riparte così dal piede, ma, preso da un raptus di voglie, si ritrova presto con il viso tra le mie cosce.
“Ehi, ma come osi! Vergognati!”. Lo frusto più volte sulle natiche, per poi dirgli che, forse, ero stata troppo cattiva e che per farmi perdonare, gli avrei permesso di tornare con il suo muso tra le mie gambe. La sua lingua allora raggiunge la mia natura. “E’ bravo”, penso stronzamente. “Persino sprecato, per quella santa donna di mia sorella”.

“Voglio alzarmi, spostati!”. Come una cagna scodinzolo il culo vicino al suo viso.
“Che aspetti? Non mi vuoi?”. Come una furia, le sue mani mi prendono sui fianchi. Mentre lo string stava scivolando a terra, mi giro, mordendo la sua bocca e il suo collo.
Voglioso, finiva di liberare i seni dal bustino, mentre la mia lingua indecente lo cercava, godendo ad ogni suo cedimento.
“Forse mi aveva sempre desiderata”, penso.

Inizio a camminare, di nuovo, portandolo a 4 zampe, verso i divanetti. Metto al centro del salottino di specchi, e lo supplico di fare quel ciò che un cane avrebbe fatto.
Con violenza mi prende. Mi gira con il viso rivolto verso lo schienale. Sento finalmente mordere la mia schiena, il mio collo. Schiaffeggiare il mio culo; sembrava ed ansimava veramente come un cane.

Montandomi come un ossesso, avrebbe voluto dirmi tanto, lo sentivo. Ma sapeva che sarebbe stato peggio. Continuava così, in quel possedermi, sino a sfilarlo, e venirmi sulla schiena.
Era stato bravo, dovevo ammetterlo. Slaccio il suo collare e riprendo a salire la scalinata.
“Vai, sei libero” gli dico, mentre divertita gioco con la frusta.
Eppure…non sono ancora soddisfatta …

Scritto da AnimadellaLupa

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